Alla decisione della Corte europea dei diritti umani circa l’illegittimità del cosiddetto “ergastolo ostativo” previsto dalla legislazione italiana, ha fatto eco anche la pronuncia della Corte Costituzionale. E’ illegittimo, secondo la Corte, non riconoscere alcuna premialità ai detenuti in condizione di “carcere duro” ai sensi dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, anche quando abbiano deciso di non collaborare con la giustizia. Di conseguenza, le premialità verrebbero dunque erogate solo nell’eventualità in cui i detenuti in regime di 4-bis venissero ormai riconosciuti estranei alle dinamiche criminali in ragione delle quali sono stati condannati. Ma quanto è possibile applicare questa logica della “estraneità” nel caso dei mafiosi?
In un Paese come l’Italia su cui la criminalità organizzata si è diffusa e radicata ben prima della nascita della normativa antimafia del 1982, una tale pronuncia della Corte Costituzionale rischia di provocare un terremoto politico e sociale senza precedenti.
Nel Paese europeo, l’Italia, che vanta la normativa più avanzata in materia, stiamo aprendo le porte delle nostre comunità alla possibilità che chi ne ha già violato i diritti possa nuovamente riprendere vigore ovvero alle mafie. Questo non possiamo permetterlo.
C’è un motivo per cui, nel nostro ordinamento, esistono norme che prevedono un trattamento diversificato per chi si macchia di reati di stampo mafioso: i sacrifici dei giudici Falcone e Borsellino ne sono una tragica testimonianza. Le mafie si nutrono inoltre di segnali “culturali” e comportamentali in grado di affermarne anche indirettamente la loro potenza minacciosa e violenta. Ad esempio, la notizia di una possibile uscita del boss mafioso dal carcere, potrebbe rideterminare nuovi equilibri e rafforzarne l’associazione mafiosa. Non si possono dunque sottovalutare queste dinamiche che gli studiosi del contrasto alle mafie conoscono bene.
Per questo motivo, insieme alle Commissioni Giustizia, Affari Costituzionali e Diritti umani, la Commissione Antimafia sta ponendo le basi per la stesura di un nuovo testo di legge che, tenendo conto delle indicazioni offerte dalla Corte Costituzionale, costituisca un nuovo punto di equilibrio tra la necessità di rieducazione nei confronti dei detenuti e la salvaguardia della tutela dei diritti fondamentali della comunità dai soprusi delle mafie.
Non possiamo permettere che il nostro patrimonio normativo in materia di antimafia vada perso, ed è necessario lavorare affinché la ricostruzione della sua legittimità non vada a scapito dell’incolumità dei nostri cittadini. Non possiamo politicamente arretrare in alcun modo sul CONTRASTO ALLE MAFIE.