La democrazia americana è un bene universale che ogni altro Paese dovrebbe difendere come prezioso risultato dell’intelligenza umana. Come la Sfinge, il Colosseo o Notre-Dame.
Qualunque sia il giudizio sulla politica economica, su quella estera, sulle scelte sociali di un’amministrazione USA, chiunque abbia a cuore il Popolo americano non può tollerare che vengano minate le basi delle sue Istituzioni rappresentative.
Donald Trump sta lasciando in queste ore la Casa Bianca. Sull’elicottero presidenziale decolla il campione mondiale del populismo antidemocratico per allontanarsi, finalmente, dalla capitale della più antica democrazia dell’era contemporanea.
E a Strasburgo, mentre tutte le forze democratiche europee si uniscono per condannare formalmente l’attacco perpetrato al Congresso degli Stati Uniti da un gruppo di rivoltosi incitati dalle teorie cospirative del Presidente Donald Trump, i sovranisti “de’ noantri” si schierano dal lato oscuro della Storia.
Per questo, innanzitutto, non possiamo che salutare con favore l’inizio della nuova amministrazione Biden. Perché gli anticorpi della democrazia si sono attivati e, con il suo insediamento, è stata scongiurata una pandemia populista.
Sebbene ora anche
Joe Biden
avrà come priorità quella di distribuire il maggior numero di vaccini ai suoi concittadini e ristorare le categorie più colpite dalla serrata, la sua agenda politica di lungo respiro è motivo, per noi, di grandi aspettative.
Almeno su due punti fondamentali: la politica ambientale e la politica estera.
Biden ha una visione chiara sulla lotta al cambiamento climatico: questo tema deve essere messo al centro di ogni politica pubblica. L’obiettivo comune è creare nuove infrastrutture – che a loro volta genereranno un circolo economico virtuoso – tali da rendere città e campagne meno vulnerabili ai fenomeni meteorologici estremi.
E a ciò servirà il nostro Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che prevede ben 70 miliardi per questa sfida senza precedenti.
Sulle relazioni internazionali, poi, Biden è consapevole della necessità di rinsaldare l’asse USA-UE, sia in campo economico che strategico: ma noi siamo chiamati a tendergli la mano.
Solo in questo modo potremo contenere le spinte espansionistiche asiatiche che premono sui confini dell’Occidente, del Medio-Oriente e dell’Africa. Il tutto, s’intenda, sempre in quell’ottica multilaterale che sia in grado di superare le rigide dicotomie da guerra fredda.
Come ha detto oggi a Sky tg24 il prof. Giulio Sapelli, intervistato poco tempo fa da #ParoleGuerriere: “Gli USA restano la locomotiva del mondo: se loro si prendono la tosse il mondo avrà la polmonite”.
L’Italia non ha nemici ma pochi sono anche gli amici fidati.
Auguri Mr. President!