Ieri alla Camera si è consumata una pagina che resterà come esempio di alterazione dei fatti, nonché di sovversione della realtà e della verità.
Sono stata accusata, attaccata e delegittimata: come deputata della Repubblica e perfino come persona. Questo perché la collega del Pd Bruno Bossio ha usato in malafede una parola, cioè «collaboratore», insinuando con successo l’esistenza di un conflitto di interessi tra il mio ruolo di relatrice del ddl che ci occupa e la presenza – tra i nominativi proposti dai commissari alla Sanità calabrese per la guida delle Aziende del Servizio sanitario regionale – di un tecnico che ha concorso, come altri, alla redazione di denunce e proposte del Movimento 5 Stelle a favore della Sanità calabrese, troppo spesso depredata da una cattiva gestione, che ha precise responsabilità politiche, di certo non nostre.
Bruno Bossio ha innescato un ordigno di cattiverie e maldicenza che sarà ricordato in primo luogo dai calabresi, che conoscono a fondo i metodi di amministrazione sanitaria del Pd, di Forza Italia e dei partiti di un sistema politico che ho combattuto con coraggio, anche insieme a esperti che hanno fornito il loro apporto in maniera volontaria e gratuita.
Bruno Bossio ricorda che suo marito Nicola Adamo, allora vicepresidente della giunta regionale, fu il protagonista di un’operazione con cui le Aziende sanitarie locali dell’epoca vennero ridotte a 5 e trasformate in Aziende sanitarie provinciali, con gravi conseguenze per l’organizzazione dei servizi.
E Bruno Bossio sa perfettamente che l’aumento del disavanzo sanitario calabrese, che ha portato al blocco delle assunzioni e al decreto legge che stiamo convertendo, è stato causato dalla gestione dei vertici aziendali nominati dal governatore della Calabria, di cui la stessa è socio di maggioranza.
La collega ha dunque fatto passare il messaggio secondo cui noi 5 Stelle siamo come tutti gli altri, perché abbiamo inserito un tecnico di area nella rosa dei nominabili ai vertici delle Aziende del servizio sanitario regionale.
Mi sorprende questo pseudo-rigore morale della collega, che ha taciuto quando il suo socio di maggioranza regionale, Mario Oliverio, ha omesso di cacciare i direttori generali responsabili delle perdite di bilancio delle Aziende della sanità calabrese. Doveva invece farlo per legge.
E mi fa specie che Bruno Bossio abbia costruito questa montatura, di cui le opposizioni si sono servite perché sono compartecipi di un intero sistema politico che ha finora retto la Sanità calabrese.
La verità è che nel testo del decreto legge in conversione c’è una deroga alle norme previste dal Decreto legge 171/2016, che dispone in materia di nomine dei direttori generali delle Aziende della sanità. Nell’ordinario, c’è a riguardo una procedura selettiva, che richiede tempi lunghi e l’obbligo di individuare i manager da nominare tra gli iscritti nell’elenco nazionale degli idonei. I decreti legge, come noto, sono adottati in casi di necessità e urgenza, e prevedono misure specifiche. La deroga, in questo caso, riguarda la possibilità di individuare – ai fini dell’intesa prevista con il governatore di Regione – anche soggetti al di fuori dell’elenco nazionale e perfino di esperti in sanità che risultino in pensione.
Ciò ha un obiettivo: fornire alle Aziende della Sanità calabrese un governo stabile e in tempi rapidi, per la durata di diciotto mesi.
Era su questo che Bruno Bossio e gli altri colleghi della minoranza dovevano fare opposizione, argomentando a sfavore della deroga. Invece hanno ritenuto più comodo farmi passare agli occhi dell’opinione pubblica come una parlamentare che ricorre a pratiche clientelari che non ci appartengono e screditare anche un professionista serio, che in Calabria è noto per la sua correttezza, la sua capacità e il prezzo che ha pagato per non essersi piegato al sistema politico trasversale.
Emiliano Morrone (Giornalista Calabrese)
IL CASO SCAFFIDI: è vero che i 5 Stelle fanno clientelismo nella sanità calabrese, oppure è una bella invenzione delle opposizioni?