Ho seguito in diretta il discorso di insediamento di Donald Trump, nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America. E di certo quei toni apocalittici mi turbano, per contenuti e linguaggio. Da un lato l’esternazione sfacciata di una precisa linea politica e culturale, quanto meno rende chiara la sua visione del mondo ed in un certo qual modo anche le contromisure da porvi.
Dall’altro, mi sembra sempre che il limite venga superato più e più volte. Pensavamo di aver ascoltato di tutto già in campagna elettorale e che poi una volta vinte le elezioni e tornato ad incarnare un ruolo istituzionale, Trump potesse recuperare una dimensione più sobria e conciliante (per quanto possibile alla sua personalità certamente eccentrica). Invece no, ogni giorno c’è da aspettarsi che vada oltre.
Di fronte al pericolo che corrono le democrazie occidentali ed anche alla perdurante debolezza dell’UE, mi sembra che il carico di responsabilità che incombe sui decisori politici di ogni Stato sia enorme. Qualcuno obietterà il fatto che di fronte alle élite finanziarie e ai magnati, vedi Elon Musk, rimane poco da fare alla politica schiacciata tra la necessità di riformarsi e le miopie dei singoli.
Ma questa visione nichilista del mondo e dell’umano non mi convincerà mai.
Non lo dico per spirito di idealismo romantico o velleitario, ma perché credo profondamente. Credo profondamente nella possibilità di autodeterminazione di leader e popoli nel corso della storia. Se è vero che la Storia è fatta di tornanti e ricorsi da ripercorrere, è altrettanto vero che il contributo irripetibile dei singoli cambia i destini e le strade che si possono percorrere. Spesso, è la tendenza cinica alla volontà di semplificazione dei processi, che sta svuotando le nostre democrazie di spirito e raziocinio. Tutti alla ricerca di scorciatoie che hanno come driver culturale ed economico la spinta capitalista all’accaparramento di cose e potere. Il mito dell’efficientismo, che nel caso di Trump diventa populismo autoritario tenendo conto che tiene accanto un eccitatissimo Elon Musk, vorrebbe convincerci che occorre cavalcare la tigre e che forse non ci restano che due possibilità. Da un lato, flirtare con i magnati e rinunciare all’autorevolezza delle istituzioni per non soccombere e alla fine sperare solo di sbarcare il lunario fregandosene delle future generazioni. Dall’altro, annegare nella deriva oltranzista della sinistra illiberale che “balla” il (fenomeno) woke che ci vuole liquidi e uniformati rispondendo inconsapevolmente (?) alla stessa logica capitalista che dicono di voler combattere.
Arrivata a questo punto, una considerazione radicale sulla necessità della cultura della mediazione va’ fatta, almeno dal punto di vista del sistema Italia. Le attuali leggi a spinta maggioritaria, hanno ucciso il “centro” e consentono l’emersione dagli abissi o se volete la caduta dal cielo soltanto di forze politiche-evento che, per innestarsi nel sistema politico odierno, possono devono far leva sulla propaganda anti establishment vista la disaffezione e astensionismo imperante. Lo abbiamo visto con il fenomeno 5 stelle per esempio, su cui ci sarebbe molto da dissertare sui costi e benefici di questa operazione nata movimentista e diventata istituzionale a tutti gli effetti. Ma non voglio soffermarmi su questo essendo stata protagonista di quella stagione e soprattutto della sua evoluzione, non del tutto compiuta ed ormai abortita. Mi interessa, invece, arrivare a porre questa domanda. E’ possibile che nel nostro sistema parlamentare si innesti una forza centrista su basi ed identità culturali antitetiche rispetto agli exploit politico-partitici ai quali siamo abituati? Mi spiego meglio. Può nascere in Italia una forza politica che si ispiri laicamente ma senza infingimenti alla tradizione cattolica, alla cultura della mediazione, popolare, democratica e riformista? Può nascere un nuovo partito transnazionale con una spiccata vocazione universale che, consapevole dei meccanismi globali, non rinunci alla fatica della costruzione programmatica dal basso e che sia pratica al punto da rischiare un’organizzazione gerarchica che dai territori ricostruisca una filiera politica e quindi anche istituzionale?
Queste domande possono apparire roboanti quanto ridicole, sia agli addetti ai lavori che a quelli cosiddetti “digiuni di politica”. Ma appariranno tali, lo ribadisco, solo ai cinici e ai pessimisti di professione. A chi ha cuore la democrazia e quindi la dignità della persona, dovrebbero apparire, esigenti sì…ma ineludibili se se si vuole contribuire attivamente all’evoluzione dei nostri tempi. Le trasformazioni epocali in corso, dalla tecnologia, all’emergenza climatica richiedono una svolta antropologica. Significa cioè ripensare interi paradigmi economici e socio-sanitari senza dimenticare le filiere di collegamento tra ogni settore della vita dell’uomo sull’intero Pianeta. Sì, a questo pensavo mentre guardavo in Tv il Presidente Trump.